PODCAST ANNALI DI ZARUBY

LIBRO IV - PAGINA SACRA

A partire dal 23 marzo, ogni giorno un capitolo di Annali di Zaruby - Libro IV - Pagina Sacra, in anteprima sulla pubblicazione per QuiEdit in Aprile 2020.

Puoi ascoltare i capitoli letti dall'Autore sui seguenti canali:

Capitolo 1. Il primo capitolo del quarto libro si apre con una notizia sorprendente e drammatica. Chi ha letto i precedenti libri potrebbe restarne stupito, ma solo se ha dimenticato che la storia dell'individuo viaggia dentro la storia del mondo, e la storia del mondo del XIII secolo è già stata quasi interamente scritta. Nell'autunno del 1254 inizia per Martino una nuova sorprendente stagione.

"Ebbene, non vi dispiaccia se solo ora pago il mio debito manifestando quella fiducia nell’affidarvi ciò che ho di più caro: non solo la mia vita, ma Zaruby stessa."

Capitolo 2. L'incarico di copiare un breve testo di Guigo il Certosino offre a Martino una traccia sulla quale strutturare la sua descrizione della teologia di Zaruby. Dopo una dissertazione sulle ragioni dello scarso amore dei cluniacensi per San Bernardo, Martino cede alla bellezza del testo di Guigo (in realtà non è suo...) e si appresta a commentarlo.

"L’appartenenza, per Zaruby, era alla comunità, non a una formula: si appartiene perché si condivide un destino, non perché si condividono le parole con cui esprimiamo il nostro sentire"

Capitolo 3. Martino inizia il commento al De Contemplando di Guigo il Certosino e subito si distrae nel paragone fra l'ascesa di Abramo al monte Moria e quella di Tommaso al colle di Zaruby.

"Anch’io ventisei anni fa salii a un monte, prima solo con i miei piedi, poi con la mia attenzione, la mia volontà, il mio pensiero, e poi con tutto il mio affetto e infine con il mio intimo. Su quel monte vidi e fui visto, da quel monte vidi e capii."

Capitolo 4. Storia dell'arrivo di Tommaso a Zaruby e riflessioni sull'amore della verità e la verità dell'amore. E sulla carne.

"...esiste un amore della verità che spinge l’uomo lontano dal mondo, ma anche che esiste una verità dell’amore che non permette di restarne lontani a lungo."

Capitolo 5. Sull'impossibilità di conoscere Dio e sulla pretesa di alcuni di averne il privilegio e il monopolio.

"Un rabbino di cui non ricordo il nome gli disse che a lui non interessava se una persona credeva o non credeva in Dio: gli interessava se faceva quello che Dio vuole che si faccia. E quello che Dio vuole che si faccia è una questione di interpretazione giuridica dei libri sacri che tiene conto delle diverse opinioni dei saggi, della tradizione, della situazione contingente, delle opportunità del momento. Insomma, non si sa mai per astratto e a priori ciò che Dio preferisce e si deve sempre in qualche modo cavarsela da soli e palleggiarsi la propria coscienza."

Capitolo 6. Martino riflette sulla natura della sua relazione con Ada e racconta alcuni particolari della loro notte solitaria.

"Io colgo attimi e ne faccio cattedrali, rubo un’ora alla vita e vi consacro anni di pensieri e rimpianti e malinconia."

Capitolo 7. Continua la conversazione notturna fra Martino e Ada intorno ai romanzi cavallereschi e ai bestiari, con un certo aumento della tensione.

“Perché il leone è orgoglioso e se un uomo lo guarda si sente in dovere di assalirlo per non dimostrare di averne paura.”

Capitolo 8. La conversazione notturna fra Ada e Martino si arena in un'incomprensione

"...il potere si nutre di ignoranza, passività e paura."

Capitolo 9. Venti di guerra nella regione di Pezinok. La morte misteriosa di alcuni nobili agita gli animi e solo l'inverno, forse, scongiurerà il conflitto.

Capitolo 10. Intorno alle diverse forme in cui l'amore si manifesta.

"Chi desidera ama sempre desiderare, chi ama desidera sempre amare, e questa è la fonte e la ragione di ogni gioia e di ogni sofferenza."

Capitolo 11. Conversazione con Ada intorno al matrimonio e consueta irresolutezza di Martino

"Questo, in fondo, era quello che volevo da lei: che mi ascoltasse, che mi parlasse, che mi capisse e che mi accompagnasse, che mi tenesse la mano con la tenerezza di una bambina e mi abbracciasse come una madre pietosa e mi guardasse e uno sguardo ogni tanto fosse solo per me.

Volevo insomma, banalmente, se non fosse che la banalità non si predica di questa cosa, sentirmi amato."

Capitolo 12. Intimità di Martino e Ada: dita e parole

"...e a quel punto capii che solo le labbra di Ada erano vere in quel caos, solo le sue dita e i suoi capelli e provai una terribile paura e il senso di una meravigliosa bellezza fragile, delicata, immeritata e breve che non aveva niente a che fare con il bene e con il male, con ciò che accadrà domani o che è accaduto ieri e a quel punto mi sentii completamente perduto, spaventato e felice."

Capitolo13. Breve excursus sulla causalità e il destino.

"Si tratta solo di fatti curiosi o piuttosto di segni che una mano discreta e provvida distribuisce qua e là per accennarci un sentiero?

Io li voglio prendere in tal senso ed è questa la ragione per cui ho deciso di fidarmi cecamente di voi e affidarmi alla vostra pietà. Come Lancillotto in balia di Ginevra a causa del suo amore folle, così io sono in balia vostra in virtù delle mie confessioni e sebbene non possa amarvi di "fine amore"perché non sono cavaliere ma solo sergente sappiate, Signora, che non mi addormento mai senza avervi più volte ricordata e ringraziata e avere pregato per voi."

Capitolo 14. Come prese forma la teologia eretica di Zaruby.

"...non si pregava insieme per svolgere un ministero che Dio si aspetterebbe da noi come un vanitoso sovrano, ma per condividere un’appartenenza nella diversità; il capitolo delle colpe non era finalizzato a soddisfare la vanità divina di perdonarci mirabilmente e per grazia, ma a consentirci di restare fratelli e amici pur nella disparità dei nostri caratteri e nella fatica del nostro intenderci; e l’Eucarestia non era il nutri...rci del vero corpo di Cristo (su questo le opinioni personali erano discordanti), ma semplicemente condividere lo stesso pane e lo stesso vino, famuli della stessa famiglia di Dio."

"...si può credere quello che si vuole, tanto non sappiamo con certezza nulla e null’altro abbiamo che parole con cui cerchiamo di giustificare il nostro posto in questo meraviglioso e orrendo universo, dimenticando il più delle volte di viverla questa vita invece che indagarla, goderne invece che martoriarla."

Capitolo 15. Come Martino a sette anni si innamorò e come da allora ne è turbato.

"Ecco mia Signora: questa piccola storia all’apparenza insignificante racconta di tutti i miei amori. Essa non produsse nulla, ma fu il prototipo di ogni altra successiva storia; senza capirlo, senza riconoscerlo io avevo creato il mio archetipo, il mio più profondo desiderio: tenere quella mano o un’altra che rappresentasse quella e non lasciarla mai più."

"...desiderio di amare delle dita e di parlare, parlare e basta in una notte lunga come un fiume e come un fiume sempre uguale e sempre diversa."

Capitolo 16. Intorno alle parole che dicono Dio e alla loro presunzione di poterlo esaurire.

"Noi uomini abbiamo forma, sostanza e apparenza, Dio no; noi siamo sottomessi al dovere in qualche modo capire, in qualche modo esprimere, Dio no. Dio è il totalmente espresso sviscerato nella propria creazione e quello che egli è è esattamente e niente più e niente meno di quello che è e di cui nulla sappiamo, e non possiamo né dobbiamo dirne se non quanto necessita e basta al nostro umano bisogno di consolazione e senso e bellezza che vogliamo chiamare Dio ma che Dio non è se non in immagine."

"Noi vivevamo in un vorticoso e inesausto mutamento a una velocità mirabolante: la nostra economia era aristotelica, ma le nostre visioni platoniche."

Capitolo 17. Riflessioni varie sul pensiero di Zaruby e sulla difficoltà di sopravvivere all'inverno.

"Perché se nel pensiero si può essere platonici, in economia è bene essere aristotelici."

Capitolo 18. Dom Willembordo dimostra l'esistenza di Dio.

"...ogni storia narrata non è mai vera ma ogni storia narrata produce conseguenze vere, perché non importa ciò che accade: importa ciò che ne consegue."

Capitolo 19. Se Dio possa mutare, e che è più facile amare Dio che gli uomini.

"È nella nostra divinità che noi rivendichiamo il nostro essere figli, e non figli adottivi: figli naturali, fratelli non bastardi e spuri di Cristo ma nella pienezza della carne, del destino e della natura. Questa dignità divina che ci costituisce è dono, responsabilità, ricchezza e condanna. Quanto desidereremmo talvolta essere vacche al pascolo, umili arbusti, aride pietre! Ma non possiamo: la trasgressione... di Adamo e di Eva ci ha condannati alla conoscenza e la conoscenza ci ha condannati alla divinità perché la conoscenza è relazione intima, la relazione intima è amore e l’amore è Dio."

"In un piccolo angolo di un dito di Ada c’è già tutto perché ogni più piccolo frammento di questo incredibile mondo è pieno di Spirito e davvero non serve viaggiare, non serve immaginare, non serve rubare per averne in più. Tutto è sospeso come in una goccia chiusa in sé, e se la afferri e la rompi un intero mondo ti inonda e ti travolge come mille onde del mare."

Capitolo 20. Incerta situazione politica a Pezinok. E ancora intorno all'amore.

"...ci vuole una cultura, ci vuole un linguaggio in grado di creare le immagini e i contorni definitori di questo qualcosa. Prima di amare noi conosciamo, per studio o elaborazione, la misura dell’amore; sappiamo, insomma, cosa vogliamo amare e come lo vogliamo amare e rovesciamo sull’oggetto che eleggiamo questo nostro fantasma."

Capitolo 21. Minacce di guerra nella regione dei Piccoli Carpazi.

"...ho ormai sufficiente esperienza di guerra per sapere che è bene preoccuparsi di essa ben prima che inizi per non essere colti dalla tempesta a capo nudo in mezzo alla campagna."

Capitolo 22. Incomprensioni fra Ada e Martino.

"I tempi dell’amore sono discordanti e raramente si incontrano in nodi e incroci. Guardo l’armonia del volo degli uccelli e ne vedo i segreti e inconsapevoli intrecci, perfetti nel loro allontanarsi e ritrovarsi, ascendere e picchiare giù dritti e virare in sintonia mentre io e Ada ci urtiamo continuamente e precipitiamo come Icaro da altezze sempre più elevate."

"È tutto molto difficile e nello stesso tempo molto bello, una terribile bellezza che ci uccide e ogni volta ci rigenera."

Capitolo 23. La notte viene movimentata da una inaspettata visita.

"E io fui preso da una vampa di orgoglio, da quella sensazione incredibile che ti invade (voi non potete saperlo) quando hai davanti un avversario e sai che di lì a poco potrai morire e le probabilità sono altissime, ma in quel momento ti senti un uomo tutto intero nel pieno della sua infinita dignità e coraggio e non hai paura e ti elevi come un dio sopra ogni conseguenza e domini te stesso e tutto il mondo intorno (...)"

Capitolo 24. Reuben aggiorna Martino sulla situazione del popolo di Zaruby in esilio nel Kunstag.

"Il canto saliva a inimmaginabili altezze e con lui le nostre anime e ci era del tutto indifferente in quei momenti credere fermamente in Dio, perché anche se Dio fosse stato solo un’immagine della nostra mente, un desiderio del nostro bisogno di eternità, Dio in quel momento sorgeva a chiamarci nella forma insieme umana e divina dello Spirito, potenza che sgorgava dalla terra, saliva al cielo e sulla terra tornava piena di voci, piena di promesse."

Capitolo 25. Riflessioni di Martino sulla diversa natura dei caratteri.

"Ma Reuben era così: non pensava alle conseguenze di ciò che faceva. Lo faceva e basta. Solo Tommaso e sua moglie, per il breve tempo in cui visse, erano stati capaci di imbrigliarlo. Ora, libero e arrabbiato, faceva spettacolari disastri come una festosa tempesta. "

"Direte che immagino troppo, che costruisco storie con le vite degli altri. Forse è vero, ma a me capita di vedere profondo e lontano e in qualche modo di sapere l’esito delle narrazioni."

Capitolo 26. La teologia inclusiva di Zaruby. Cenni sull'etica di Abelardo.

"Mi sono innamorato, mia Signora, quando ho smesso di avere paura di farlo. Ho trovato lo Spirito quando ho smesso di avere paura del Padre e ho conosciuto il Cristo quando ho smesso di preoccuparmi del Figlio. La verità, che pure è sempre una verità temporanea, fragile, occasionale, è figlia del tempo. Ciò che è vero per me ora non sarà for...se vero domani, e se Dio permane in una sua stabile verità, cosa che io non so, essa non ha nulla a che fare con me oggi perché la mia verità è che adesso ho fame o sete e poco fa no, che in certi momenti sento soffiare lo Spirito e in molti altri no, che talvolta sono felice e talvolta triste, talvolta preda della carne e talvolta no."

Capitolo 27. La scuola del refettorio di Zaruby.

"Ed ecco allora che abbiamo due possibilità per vivere: o prendere di volta in volta quello che il momento offre sforzandoci di tornare all’incoscienza dell’Eden oppure credere che questa vita sia solo una tappa di un più lungo cammino, un pellegrinaggio di quarant’anni che ha alle spalle la schiavitù dell’incoscienza. dalla quale siamo fuggiti o dalla quale siamo stati ...scacciati e davanti una terra promessa che raggiungeremo solo quando avremo abbandonato questo corpo mortale. Ma la tragedia di Zaruby e la mia tragedia consistono nel non volere regredire all’Egitto del non voler sapere e non voler pensare ma pure nel non volere rassegnarmi a non mettere piede in quella terra promessa, fosse anche solo per un giorno, restando nel ciclo concludibile di questa vita mortale, l’unica che ci è data e sulla quale abbiamo dominio."

Capitolo 28. Intorno alle incertezze dell'interpretazione.

"Ma la tendenza a giungere immediatamente all’utilizzo pratico della conoscenza comporta l’inevitabile rischio di non avere chiaramente individuato il fondamento come chi, in possesso di un ottimo progetto, costruisca una splendida cattedrale sulle rive di un fiume dalle sponde sabbiose per vederla crollare alla prima piena."

Capitolo 29. Ricordo del primo incontro fra Aengus e Tommaso.

"Proprio in quella Chronica, in una pagina memorabile che ogni tanto amo rileggere, si tratta dell’infinita durata del tempo e del combinarsi degli eventi come punto di incontro di infinite cause che l’uomo non può dominare, come se ogni vera preghiera fosse già esaudita e ogni vera necessità già soddisfatta perché lo Spirito che geme dentro di noi, quel frammento dell’Anima del mondo di cui parla il Timeo già conosce a nostra insaputa le opere dei giorni e le dice e, dicendole, le crea come io creo, con semplici parole, un mondo che nessun diluvio potrà mai, dopo averlo sepolto, impedire che torni in vita. "

Capitolo 30. La complessa relazione fra Reuben e suo figlio. Mentre Ada impara versi in latino.

"Così va con Ada, mia Signora: giorni di sole si alternano con giorni di tempesta, il tutto a causa delle mie incertezze. Ma ieri sera, poiché non riuscivo a dormire e non avevo energia per scrivere, ho riflettuto a lungo sulle ragioni profonde di questo mio continuo girare intorno alle cose e, scavando nel profondo della mia inquieta coscienza, ho forse trovato il capo di un filo che potrebbe spiegare qualcosa. "

Capitolo 31. Del perché la chiesa cattolica non possa arrogare a sé la pienezza dello Spirito.

"Un dogma poi, o anche più di uno, si potrebbero ammettere se fossero imposti direttamente dal proprietario, come un servo obbedisce agli ordini del padrone anche quando non li condivide. Ma se questi dogmi vengono da un’elaborazione storica, da successive manipolazioni, da interpretazioni figlie del loro tempo come dicevamo poc’anzi, assumono la grottesca forma di ordini corrotti, degradazioni di espressioni che avevano forse un senso che oggi evapora: torrenti secchi, appunto, che non meritano la nostra adorazione."

Capitolo 32. Preoccupazioni di Martino per la guerra incipiente e riflessioni sulla filosofia di Epicuro.

"Io centellino le mie sensazioni e le mie scelte, Reuben va dritto al proprio personalissimo obiettivo e distribuisce equamente le sue frecce sulle nobili schiene dei nostri signori. Non so se invidiarlo o compatirlo. Non è un uomo felice, ma chi in fondo lo è? Voi lo siete? Almeno su questo Abelardo e Bernardo er...ano d’accordo: nel disprezzare la carnale felicità degli Epicurei, una razza che io, invece, non mi sento proprio di maltrattare. Chi ha posto in cielo il proprio orizzonte può anche disprezzare le piccole gioie di questo piccolo mondo nella speranza di meritarne di più grandi e durature nell’altro; ma chi, come me, ha perduto la speranza in una felicità che travalichi queste colline e questi fiumi, conosce e apprezza i brevi istanti di una confidenza, il silenzio di una notte in cui in due si possa guardare le stelle, una birra fresca, un intreccio di dita, un profumo che ti aggredisce all’improvviso. "

Capitolo 33. Un piccolo infortunio esercitandosi alla lotta col bastone.

"Deve essere quello che accade ai bambini quando, dopo essere stati sgridati, desiderano morire per provocare dolore negli stessi che li hanno puniti: quello che i bambini in realtà vogliono non è il loro dolore ma la loro cura, perché i bambini misteriosamente già sanno che l’amore si nutre di dolore e quanto più si ama più si soffre e quanto più si soffre meno si riesce a staccarsi dall’amore."

Capitolo 34. Cosa sia la felicità e come ci si muove nei labirinti.

"Voi Martino, starete pensando, continuate a girare intorno a qualcosa che volete impedire si possa afferrare e con tutti questi discorsi non siete ancora arrivato al dunque e sembra che non vogliate arrivarvi mai. E avete ragione: il mio riflettere è proprio così e rende pienamente ragione della propria etimologia: i miei pensieri si riflettono come su ... specchi e si moltiplicano innumerabili spostandosi leggermente di qua e di là in infinite rifrazioni. Quando si cerca di cogliere una di queste immagini ci si accorge che è solo il fantasma di qualcosa che non sta lì ma altrove, in uno solo degli infiniti luoghi dove il pensiero si è copiato in lievi mutazioni e spostamenti. Di copia in copia, di parola in parola la chiarezza si degrada e solo la consapevolezza di essere stata generata da un modello reale e luminoso è quanto resta in residui dell’antica coerenza e perfezione."

Capitolo 35. Come si possono preferire dita e parole agli amplessi e come ciò sia difficile quando si è giovani.

"Tutte queste cose che ho vissuto negli anni lunghi della mia vita solo ora le sto mettendo a fuoco identificandole e numerandole sulle dita sottili di Ada, ciascuna un mondo a sé, bastevole e ricco di promesse, dignità e gloria. Questo piccolo corpo di Ada è l’incarnazione di Dio, un tempio dello Spirito, la brezza di Elia, ma di esso potrebbe accadere quello che accade dei templi di pietra profanati da cerimonie sterili e frequentati per obbligo e abitudine: se mai mi assuefacessi alla delicatezza di quelle mani, se mi diventasse indifferente l’odore del suo sudore o non mi stupissi più dei suoi occhi o dei suoi piedi, tutto sarebbe perduto."

Capitolo 36. Come si svolgeva a Zaruby "I cavalli di Mesko".

"C’è da dire che il palio produsse un fenomeno collaterale imprevisto ma che sarebbe tornato utile di lì a qualche anno quando dovemmo vedercela con la nuova invasione mongola: ci capitò di arricchirci di una valida turma di cavalleria leggera, i nostri occhi per anticipare le mosse avversarie e le nostre bende, nelle retrovie, per tappare i buchi che si aprivano nello schieramento."

Capitolo 37. La guerra viene evitata: soddisfazione di Martino e dispiacere di Reuben.

Ma riguardo il suo esordio di uccisore Willembordo mi raccontò una cosa inquietante: dopo che Reuben seppe da Willembordo stesso che l’uomo che aveva ucciso era un suo amico, imbracciò l’arco, puntò al cielo e scoccò dritto in verticale. Nel silenzio di quella notte la squadra dei cavalieri si spaventò di questo lancio inconsulto e mise gli scudi sopra la testa per ridurre il rischio di essere colpiti, ma quella freccia non tornò mai giù e non si sentì alcun rumore, alcun sibilo, alcuna botta. Mi disse che tutti rimasero fermi e in silenzio e che solo dopo un po’ riuscirono a rimettersi in viaggio, colti da un senso oscuro e superstizioso. Reuben doveva avere colpito un angelo, o forse Dio stesso."

Capitolo 38. Difesa di Tommaso al processo per eresia.

"La nostra eresia consisteva sostanzialmente in una cosa: ci permettevamo di pensare."

"La devozione che avevamo per il maestro Pietro Abelardo non derivava tanto dall’avere letto e tantomeno compreso l’intera sua opera, quanto dall’ammirarne lo spirito libero, la ferma volontà di non fermarsi alle Colonne d’Ercole di dogmi insteriliti, cercatore sincero e coraggioso di un Dio che non fosse solo fumo e ombra di parole logore, quelle stesse di cui dice Qohelet, ma presenza rassicurante e misteriosa, interrogante e inafferrabile che ama essere indagata, inseguita, desiderata con la stessa complessa e sapiente fuggevolezza dell’amata del Cantico che non si fa trovare e che solo quando smette di essere cercata esce a sua volta in cerca dell’amato a piedi nudi lungo le mura in balia di soldataglie, del freddo, dell’ansia. "

Capitolo 39. Ciò che è plausibile e ciò che è accaduto: intorno alla verità storica del testo sacro.

"Insomma, chi può sapere cosa è davvero accaduto? Nessuno ha testimoniato di essere stato presente nel momento in cui il fuoco si appiccava alla siepe e l’unica cosa certa resta la cenere, come l’unica cosa che in una certa Domenica videro le donne e gli apostoli fu una tomba vuota."

Capitolo 40. Ragioni della persecuzione di Tommaso: non è ammessa opinione quando si deve semplicemente e assolutamente credere.

"Quando comprendi qualcosa con luminosa chiarezza, non hai più bisogno di crederci: l’evidenza ti basta. Il fatto è che ciascuno di noi coglie evidenze diverse e ciò che appare indiscutibilmente bianco all’uno, appare ineluttabilmente nero a un altro. Siamo fatti così: scambiamo le impressioni dei nostri sensi e le conclusioni dei nostri ragionamenti per verità assolute e rischiamo di diventarne schiavi. Il bello dello Spirito è che invece viaggia libero e, come il vento, non puoi tenerlo fra le mani. Puoi solo godertelo mentre passa."

Capitolo 41. Contorti sentimenti di Martino intorno all'amore.

"Più vivo e più la vita mi viene a cercare, più si radicano in me la nostalgia di una terra che forse la mia anima ha conosciuto prima che io nascessi e la tristezza che deriva dal non potere entrarci. Ma la mia ragione, addestrata a non cedere a sentimenti univoci, accosta a queste sensazioni che molti potrebbero considerare sgradevoli un senso profondo di gratitudine per ciò che ho conosciuto e avuto, di serenità per avere una coscienza che aspira all’innocenza, la gioia di vedere chi amo crescere in età e saggezza, sempre più libera dai legami del mondo. La libertà è un legame terribile, il dono di una responsabilità irrevocabile, ma è ciò che fa di noi figure del divino, esperimenti audaci della creatività dello Spirito."

Capitolo 42. Ancora anatre in visita.

"Anatre sono gli uomini, nate dal mare dell’Anima. Perché un uccello nato in quel mare dovrebbe restare nel mondo?”

Capitolo 43. Intorno alla lettera ricevuta da Bianca.

"...io prendo te perché so che tu vuoi prendere me."

"Insomma, mia Signora, vedere il bene in ciò che si ha e sperare che sia bene ciò che ora non comprendiamo è sempre un buon modo di vivere e non costa nulla."

Capitolo 44. Martino istruisce Bianca sulle conoscenze necessarie per evitare il concepimento.

"La convinzione che tutto il creato sia una questione aritmetica portò inoltre a certi tentativi di calcolare la fertilità sulla base delle simbologie numeriche: il ciclo esatto di ventotto giorni, il migliore secondo questi calcoli, è tale perché quadruplica la perfezione del numero sette. È poi evidente che il quattordicesimo giorno debba essere il più fertile perché, come sta scritto nella genealogia di Gesù secondo Matteo, le generazioni che lo precedettero si combinarono secondo il numero quattordici, numero di Davide. Ad ogni scadenza dei quattordici giorni si ha dunque una nuova generazione. "

Capitolo 45. Commiato di Martino. Si chiude con questo capitolo il quarto libro degli Annali di Zaruby.

"Voi siete il dono più bello che mi ha lasciato in eredità, il più gentile pensiero, la più bella promessa."

"Non avevo mai notato che lo facessero prima, ma da quando quell’anatra mi ha fissato sulla porta di casa facendomi ricordare quelle che avevo visto conversando con Reuben vicino al ruscello ho cominciato a fare caso alla loro presenza. È curioso che il loro manifestarsi sia corrisposto all’arrivo di Reuben, anch’egli un’anatra selvatica, ed è curioso che esse rappresentino, come si narra nel libro dell’Esodo, il dono metaforico della carne, di cui ho trattato così tanto in questo Annale."