Il testo che segue è l'ottavo capitolo di Som de l'escalina


I giorni d'estate, che il vento portava più avanti in attesa di maggio, si accumulavano sulle spalle di una florida primavera che aveva quell'anno anticipato all'ultimo febbraio lo scrosciare dei temporali. Qualcuno di quei pesanti giorni d'estate, azzuffandosi con gli altri, finiva per cadere dalla pur robusta schiena della stagione corrente per andare a conficcarsi nel bel mezzo di una ingrigita settimana di marzo o a sfolgorare incastonato fra le tiepide brezze di aprile. Insomma, quell'anno il tempo era volubile come una sposa e i contadini avevano un bel correr dietro a sole e pioggia e grandine e sereno e potar rami e concimar terreni inseguendo la buona stagione, il caldo e l'acqua. La sera pioveva e il mezzogiorno scottava e i bambini allegri sguazzavano nudi in fangose, provvisorie pozze e il tempo matto metteva il buonumore e le colture venivano su bene e se Dio voleva non era più tempo di guerra. Se poi il vespro pioveva, e le giornate già eran lunghe, si andava a tavola per tempo e si beveva vino per ingannar l'attesa e dopo cena, che faceva buio e ancora non era stagione di guardar le stelle seduti sullo steccato del recinto dei polli, si andava ancora in stalla al caldo umido a contar storie di santi e di fantasmi. A quei tempi si era poi in molti in casa, e nella casa di ***, accanto ai piatti suo, del nonno, della moglie, di due figlie femmine e due maschi, uno sposato e con la moglie in casa e già un poppante al seno, stava sempre un posto in più per Messere Domineddio, che non si sapeva mai chi potesse quella sera essere. Se Domineddio non prendeva la forma di un mendicante o del vicino in viaggio o del curato in giro a benedire case e campi, finito il desinare si metteva in palio la salsiccia a chi teneva più a lungo il fiato o a chi ricordava più proverbi, e il bicchiere di vino si divideva fra gli uomini fatti.

Il nonno, ormai vecchio, aveva passato sulle spalle del figlio il peso della responsabilità e il posto a capo di tavola, ma non aveva smesso ancora di comandare: lui decideva quando era l'ora di alzarsi e andare nella stalla, lui decideva l'ora di smettere di contar fiabe e andare a riposare, sempre lui benediceva i nuovi figli. Dopo la morte della nonna, aveva però passato al figlio, e questi alla moglie, il compito di recitare la preghiera della tavola, e questo perché il nonno, e il figlio che gli somigliava, non aveva mai preso gran confidenza con quel Domineddio che sedeva alla sua mensa, e si sentiva un po' inabile a lodarne i doni.

"Ah, non mi tiro certo indietro" diceva "se c’è da contar storie o discorrere sul prezzo del grano, ma parlare con uno che proprio non si vede, questo non fa per me. Non me la sento, ecco.”

"Veh, papà" gli diceva la nuora "avete un bel dire di non vederlo. Che ci sta a fare, dunque, il piatto di Domineddio sulla tavola? Quella volta che è venuto quel viandante da Worms che non mangiava da tre giorni, l'avete visto Domineddio?"

Ma il nonno, che non riusciva granché a convincersi che Domineddio lasciasse maestà e potenza nei cieli per travestirsi da mendicante affamato e andare a sedersi alla sua tavola, scrollava le spalle e diceva: "Bah, figliola, io non ho mai visto i re travestirsi da straccioni e andare a mangiare nelle case dei contadini.”

"E perché mettete il piatto per Domineddio, papà?"

"Eh, il piatto, quella è una tradizione vecchia. Lo faceva mio padre e mio nonno e non è bene mancare agli usi. È tutto quello che abbiamo. Non si sa poi mai che Dio si arrabbi se non gli si riserva un piatto. Quando lo mangia un poveraccio è segno che non se ne aveva neppure per Dio.”

Fatto sia che, avendo pure un bel dire su re e mendicanti, tutte le volte che un ospite sedeva in luogo di Domineddio il nonno lo guardava di sottecchi per vedere se per caso si mettesse di nascosto a benedire il pane, e i bambini, intimoriti dal mistero di quei pasti, badavano bene a non fissare negli occhi lo straniero, se era tale, o il vicino occasionalmente convenuto, e c'era però sempre da temere che la curiosità superasse d'istinto la paura e l'uno o l'altro chiedesse all'ospite di trasformare l'acqua in vino o d'andar fuori a far cessare il temporale.

Natale, poi, le cose erano assai più pasticciate, che era difficile capire come il Bambin Gesù di pochi giorni appena potesse gustare la salsiccia o il vino, e si badava così, perché le evenienze possono esser molte, ad avere in serbo per quel tempo anche un po' di latte. Nel giro poi di un mese appena, il Bambin Gesù era già adulto, battezzato e maturo e si avviava ad andare in croce in tutta fretta per poi risorgere ed andare a predicare ancora un poco fino a quando, senza più esser morto, spariva dalla scena per rinascere, dopo un mese di avvento, nella solita stalla.

In quella primavera, passata una Pasqua precoce, vennero alla casa di *** certi conoscenti, padre, due figli e le mogli appresso, a render visita e a concordare l'acquisto di un maiale. Abitando non troppo lontano e non volendo perdere un giorno di lavoro nei campi, si erano avviati non molto prima del calare del sole mangiando qualcosa in viaggio ed erano giunti a destinazione che già faceva buio. Entrarono in casa che la famiglia riunita aveva appena finito di cenare e, lasciate le mogli a chiacchierare, gli uomini andarono nella stalla e trattaron del maiale bevendoci sopra diversi bicchieri. Era sabato e faceva piacere indugiare insieme e discutere e bere nella stalla. La sera l'aria pizzicava ancora. Le donne, finito che ebbero di regolare le ultime mansioni in vista della festa, presa una candela, raggiunsero in stalla gli uomini, che i bimbi già dormivano. Il nonno stava decantando le virtù del suo vino, in attesa che venisse l'estate e fosse ricambiata la visita e si potesse assaggiare quello che gli amici dicevano "nettare degli dei" al cui confronto nessun vino poteva reggere. La nuora, ridendo, esordì:

“Ma che bella cosa! Noi si sta di là un poco e qui si trasforma una comunità cristiana in un covo di peccatori avvinazzati. Ma di questi tutti non mi sorprendo; quando mio marito l'ho sposato lo sapevo con chi avevo a che fare, sempre in bilico fra il purgatorio e l'inferno, ma di voi, papà, di voi mi sorprendo!”

Gli uomini, alticci, non ebbero difficoltà a sottomettere le femmine con altrettante, scontate battute, resi audaci dal vino, dalla buona atmosfera, dall'annata favorevole e dall'amore delle donne di cui si capisce qualcosa quando si è bevuto.

“Un tempo” continuò la nuora “e non più tardi di una sera fa, in questa stalla si raccontavano storie edificanti.”

“Oh, lo si faceva per i bambini” celiò il marito “e ora bambini non ce ne sono!”

“Veh, a me piacerebbe lo stesso sentire una storia del nonno, ma di quelle da cristiani.”

“Coraggio vecchio mio” disse allora l'ospite più anziano “raccontaci una storia e fai contente le donne. Sei giustamente famoso per le tue storie.”

Per un po' il nonno provò a schermirsi con la scusa dell'ora e del vino bevuto, poi disse che non aveva storie in mente, poi cedette come cedono tutti quanti, e iniziò:

“Qualche tempo fa, e certamente mio figlio e mia nuora lo ricordano, un ragazzo in viaggio da Magonza verso Hoppenheim trascorse qui da noi un paio di giorni, il tempo perché si scaricasse una brutta bufera di neve che ricorderete anche voi. Per ricambiare il poco che potevamo offrirgli aiutava nei lavori della stalla (ma non era affatto bravo, non era un contadino) e la sera ci suonava qualche canzone, di quelle che si suonano alle corti dei principi e alle feste, dato che questo era precisamente il suo mestiere. Ecco, un pomeriggio che si risistemavano le mangiatoie delle bestie, gli chiesi, non so perché, se la sua vita errante e il suo mestiere non fossero contrari alle leggi di Dio. Non è mio uso ficcare il naso negli affari degli altri, ma devo confessare che non seppi resistere alla tentazione di interessarmi di quelli suoi che erano di un genere che non avevo mai potuto conoscere.

Ed egli non mi rispose sì o no, fece invece un discorso, non lungo ma ben detto, per spiegarmi come la pensava. Beh, devo confessare di non avere ben capito tutto. Egli, d'altra parte, si rivelò colto (e questo mi fece anche capire perché non sapeva fare i più comuni lavori manuali) e faceva discorsi difficili. Resosi conto della mia difficoltà, passò a fare alcuni esempi per dimostrare che la sua vita non era in contrasto coi princìpi della nostra religione, e me lo spiegò ricordando come gli apostoli fossero essi stessi vagabondi (e Nostro Signore prima di loro), il re Davide fosse suonatore di cetra e il canto fosse suggerito da San Paolo alla chiesa per la lode di Dio. Questi suoi discorsi, capite bene, non mi tranquillizzarono, anzi, vista l'abilità della sua parola, mi venne da pensare che fosse un eretico o una testa calda, e dovetti fare una ben strana faccia. Allora, terminato intanto il lavoro, sedette su un mucchio di fieno e mi disse: ‘Ora, se può farle piacere, le racconterò una storia, una storia di devozione copiata un po' dal vangelo. La ascolti bene, perché è una bella storia e ho impiegato del tempo a comporla’.

“E questa che vi racconto è appunto la storia, così come me la sono impressa in mente (sapete che ho una memoria di ferro) comprese le parole difficili. Sentite un po'”:

Se ne stavano in cerchio intorno al fuoco. Era notte già avanzata e il vino bevuto eccitava le chiacchiere e l'entusiasmo, dopo i fatti meravigliosi di cui erano testimoni. Si ripetevano all'infinito, senza mai stancarsi, le stesse storie, soprattutto sul conto di Didimo che una parte così importante aveva avuto qualche sera prima.

- Ma dicci ancora - ripetevano a turno - dicci ancora, Didimo, l'hai toccato?

- Ma no, vi dico, non l'ho toccato! Che bisogno ne avevo ormai?

E ogni tanto ridevano e fantasticavano su ciò che sarebbe venuto dopo.

- E la faccia di Pilato! Ah, la vorrei vedere quando quegli occhi da sorcio lo vedranno vivo. Quel cane di un romano!

Al sentir parlare di Pilato, Pietro fu preso da una sottile, indefinibile malinconia. La brezza della notte saliva e allontanava l'ebbrezza del vino. Anche se durante il giorno non aveva dormito, non aveva sonno e pensando al domani, alle loro donne e ai bambini, pensò che l'ora fosse favorevole alla pesca.

- Andrea, io vado a pescare - disse. E si alzò.

Andrea lo guardò un po' strano, battè gli occhi. Come risvegliato si alzò e lo seguì.

- Dove vai Pietro? - chiese Naele.

- Vado a pescare. Aveva nella voce una strana, roca inflessione. Gli occhi vaghi.

- Vengo Pietro, veniamo anche noi Pietro, eccoci, aspettaci.

Quindi uscirono fuori dal riparo della vela tesa come un lato di tenda e si avviarono dietro a lui.

Non presero nulla.

Pietro era distratto. Diceva un po' a caso "butta qui, buttate là", ma la sua faccia era così svagata, la sua bocca così adagiata sul labbro inferiore, come di uno che sta un po' male di stomaco, che neppure i figli di Zebedeo, quei due figli del tuono, pescatori e non dei peggiori, osavano in qualche modo contraddirlo.

Venne l'alba che non erano lontani da riva. La nebbia fresca, la portatrice di sonni, venne loro incontro confondendo gli ultimi lembi di terra con il risciacquo lento del mare quieto.

- Pietro, siamo quasi a riva - gli disse Andrea sottovoce.

- Sì, sì, vedo. Andiamo a terra , ormai.

Quando la barca fu a poche braccia dalla secca, un uomo seduto accanto al fuoco che essi avevano lasciato e che ora era ravvivato, gridò loro:

- Avete qualcosa da mangiare?

Fra loro si guardarono, e parve a tutti di udire il cuore degli altri. Guardarono a Pietro, come a un capo. Pietro gridò: - No!

- Allora allontanatevi un po' e gettate la rete.

Guardavano Pietro.

- È tutta la notte che peschiamo!

Gridò: - Gettate ancora!

Si fece ancora più silenzio.

- Sì, Andrea. Andiamo un po' fuori, andiamo un po' fuori. Dai aria alla vela.

Così uscirono di nuovo e Pietro pareva scosso. Non osavano guardarlo dritto in faccia, non osavano chiedersi nulla.

- Giacomo - disse Pietro - fai tu. Hai più pratica con questa rete. Fate voi per favore.

E pensava: "No, non ora Signore. Non ora. Ci sta scrutando tutti. Tommaso prima e me ora, e non so che dire. Dio mio, Signore, no. Lasciami in pace, lascia che si chiuda la ferita almeno. Come potrei stare con te ora? No Signore, non ora.

Ma fu riscosso dal grido inumano di Giacomo: - Pietro! Pietro! Presto, aiutami!

Giacomo, il forte, il più forte, pescatore fin dalla nascita: - La rete mi sfugge! Aiutami! È incredibile, incredibile. È piena di pesce, ce n’è a centinaia! Che grossi Pietro! Pietro! Pietro! Tira!

Giacomo, il Pescatore, più pesce ora che uomo, più acqua e barche e vento e notte e sonno e dolore e fatica e sangue e reti e gioia che uomo. Tutta la vita di Giacomo in quella rete, e quella di Giovanni e di Andrea, e quella anche di Pietro se ormai, tratta a bordo la rete, fra i pesci guizzanti fra i piedi, non fosse a lui chiaro che era giunto il suo momento, che a riva era atteso. Ma Pietro resisteva, disperato, il suo cervello teneva duro, si aggrappava: "No, non ora, non ora.”

Si fece silenzio, e Giovanni, il giovane Giovanni, così intelligente, così buono, così saggio:

- Pietro - disse (e lo spezzò) - è il Signore.

La stalla era ora silenziosa. Il nonno, meditante, taceva. Solo dopo qualche minuto l'ospite più anziano disse: “È una bella storia. Non ne ho mai sentite così. Un po' triste, un po' strana. Però è bella e ben narrata.”

“Non ho ben capito” aggiunse il nonno “cosa significa. Però è bella. È una bella storia. Dopo che l'ebbi sentita non pensai più che fosse un eretico.”