Reuben letto da Mirco Cittadini

Reuben: sfogo/confessione, con addirittura 4 edizioni diverse, come leggo in appendice dal parere autorevole di un emblematico Allen Faulkner (che sembra creatura altrettanto romanzesca) e già propongo una ulteriore edizione, una nuova struttura, solo tre capitoli (il primo: il sogno di Reuben; il secondo tutto il blocco centrale e il terzo l’ultimo capitolo, il congedo). Tre funziona meglio. Sa da trilogia. Di questo poi si tratta.

Reuben non è una lettura rilassante. È una lettura rompicapo, molto più dell’indefinibile seguito. C’è un’epigrafe testamento. C’è una dedica “un libro senza una storia che cerca parole per averne una” tutto è testo, tutto va analizzato, persino la copertina vergata dal pugno dell’autore, un disegno di rami, di primavera, di rottura e inquietudine.

Confesso che sul sogno iniziale ci ho sbattuto la testa. Confesso che il sogno l’ho pure sognato ed esorcizzato in una rilettura/plagio su Haziel. Quasi che il sogno fosse, in fondo, la chiave di tutto.

A colpirmi fin dalle prime pagine, sono state due cose, le coordinate sulle quali si orienta il libro…. Il tempo e il protagonista.

Il tempo: pag 11 “non pioveva piùViene presupposta una pioggia che prima c’era. Ma di questa pioggia non c’è dato di sapere. È in absentia, io devo considerare quello che un testo dice, non quello che omette. Il testo allude, invece, c’è un adesso, ma fa presupporre un prima. C’è un amico che non conosciamo. C’è Firenze, ma non ci è dato di sapere. C’è Trieste, ma è sempre un prima. C’è una tavolata con gli amici, che sa di de-javu(“Ebbe la chiara impressione di rivivere una scena già vissuta”). C’è un ragazza che piange, ma anche questa, come tutto, appartiene ad un mondo anteriore (“era accaduto tanto tempo prima”).

Il protagonista: c’è un personaggio che sogna, l’eroe eponimo del libro, tutto è chiaro, il lettore che un po’ ha sbirciato nel sito www.junemellow,it sa che esiste una trilogia monca dedicata a Reuben… ma poi, a pag. 9, la prima pagina, legge: “E fu uno strano sogno , così strano che me lo raccontò”

Una cosa così l’avevo letta in Pirandello, quella novella sul treno che fischia (il viaggio, la libertà)… questa cosa mi piace, è Milo Barnaud, narratore spodestato in “Una furtiva lagrima”.

Ecco le coordinate. Il libro, a mio avviso, è questo.

La storia di un’assenza. La storia di un vuoto. Hebel, ma questo viene dopo.

Il protagonista (l’eroe eponimo) fugge, per un motivo tra i più banali… tutto il resto è la celebrazione di questo vuoto. Il testo è tutto rivolto all’indietro, un Orfeo malinconico con la testa ritorta a 180 gradi, la visione scomoda di un presente che ha senso attraverso un passato. L’Eroe eponimo vive e giganteggia in modo indiretto, attraverso tutto quanto non viene detto, attraverso le allusioni che riguardano il primo. Reuben è un grande attraverso l’amore del narratore (vedi June), Reuben è un grande e ha lasciato un vuoto indicibile e noi ci fidiamo.

Lo stile è sempre preciso, irritante e perfetto, forse solo più acerbo e urgente, rispetto a June, ma sempre musicale, lineare e impeccabile.

Anche se a volte si affossa e si impantana troppo nella lamentazione cosmica. È uno stile che sa alternare prosa e poesia.

Il procedimento mi sembra questo (anche se non avviene in modo meccanico): si parla di una cosa (solitamente Reuben), parte una riflessione individuale e poi, pian piano (e lo stile si adegua), la riflessione diventa generale e il punto di osservazione cambia, si espande in afflati cosmici, o più semplicemente, in “vedute dall’alto”.

La mezzanotte mortifera o ingioiellata (e ancora il tempo), lo stucco che cede ad una finestra… questi i punti che più mi hanno toccato. Periodi interminabili, proustiani, scorrevoli nella loro struttura sinfonica (a pag. 42 c’è uno degli esempi meglio riusciti).

Ma è anche nei dettagli, non solo nelle sue ampiezze liriche, che questo libro conserva la sua ricchezza, negli squarci autentici sul mondo… come quando viene descritto il mare freddo ad aprile, o quando si parla degli incontri complici alle cinque del mattino.

Ma questo, come l’altro, è un libro che suscita domande, un testo pensoso e sospeso.

Questo non è un saggio critico, è un’ammissione di debolezza.

Dove sono i genitori di questi adolescenti?

È come le vignette di Charlie Brown, giovani autonomi troppo cresciuti, che si interrogano come filosofi esistenzialisti.

Quale la natura dell’amicizia tra Reuben e gli altri? Francesca sembra poco interessata, Marco ha il suo broncio e il suo bel muso, persino il narratore, a Reuben tanto devoto, compie una stranezza.

Reuben gli lascia un messaggio in segreteria, prima di fuggire: “Richiamami” e il narratore lo richiama dopo tre giorni!!! Che amicizia può essere questa?

Qualcosa non torna, il tempo ossessiona e insiste.

Reuben è arrabbiato per una gita, fa un sogno, decide di andare subito, addirittura vuole fare un’improvvisata agli amici, a Firenze, partire subito, ma poi non va, trova il tempo di raccontare un sogno al protagonista, di parlare con Cinzia, parte il 23 aprile, questa è l’unica data certa. Presumibilmente il narratore lo contatta, invano, il 26 aprile. Lo so, sono quisquilie, seghe mentali, ma occorre un po’ orientarsi. A meno che…

Passano 4 anni e i personaggi sono già grandi, vissuti, maturi e consunti. Disillusi. Bruciati. Il narratore soprattutto.

Forse le cose non sono le cose.

Poi il finale, con questo sole liberatorio che scalda le ossa fradice di lacrime e pioggia, e lo scoiattolo (lo stesso che racconterà la prima parte della favola nel secondo romanzo?) e la triplice invocazione: “Isacco Isacco Isacco”.

E allora uno deve tornare indietro e cercare di capire. All’epigrafe. Un testo dovrebbe dire tutto, si suppone. Fornire le soluzioni, se no che gioco è?

Reuben, figlio di Giacobbe, e quindi nipote di Isacco.

Reuben, in ebraico “ecco il figlio”. (Donna, ecco tuo figlio?). Isacco, l’emblema del sacrificio, ma anche la gaffe della primogenitura. L’equivoco.

Isacco esiste in quanto figlio di Abramo, il sommo patriarca. Lui che sognò (un sogno?) la sua discendenza su un’ampia scalinata (“due scalinate lunghe e larghe, una a destra e una a sinistra che portavano ad una grande terrazza…”) e come può, un lettore diffidente e malcagato, non pensare che quella scalinata non sia la stessa che darà il titolo al secondo romanzo?

Ma anche Giacobbe fu eroe di un sogno, quello dove avvenne la lotta tra lui e un angelo (Marcel-Lucien?)

Reuben è l’agnello sacrificale, Reuben è il passato di se stesso, è il proprio avo (il prima…) e progenitore.

Non mi basta. Mi serve un ipotesto. Mi serve una risposta coerente. Cerco indizi. Sassolini sparsi. Sottili satelliti opachi.

Trovo un’altra strada, forse quella giusta. Si parla di Cenerentola, del Principe per l’esattezza, dopo la pioggia, poi di Biancaneve, poi di Alice, poi delle streghe… favole favole favole, persino il topolino /Reuben che affronta la vita/ è una favola amara e cruenta.

Le favole, già… ma quale la favola che manca?

Perché questo testo trova le risposte e la pace in quello che manca, piuttosto che in quello che c’è: “E Reuben divenne Reuben perché non volle diventare grande”

Peter Pan!

Ma sì, questo eroe basso di statura, che indossa sempre le maniche corte, anche d’inverno, e il mare attorno ad un’isola che non c’è, e la sua paura del tempo /coccodrillo/sveglia/ e la sua amica Cinzia/Wendy e la sua fuga, nel sogno, da un uomo con i baffi (Capitan Uncino).

Tutto tornerebbe. Tutto potrebbe essere semplice.

Reuben non esiste e tutto potrebbe trovare un suo equilibrio. Questo libro non è sincero. Meglio così. Così lo voglio credere.


Reuben letto da Allen Faulkner

Reuben: appunti per un making of

La versione di Reuben che viene pubblicata nel 2007 è una delle molte che circolano, simili nella sostanza, ma diseguali nella lunghezza, in alcuni aspetti dello stile e soprattutto nella struttura.

Per fare chiarezza sulla controversa questione di quale si debba ritenere il Reuben autentico e per rendere conto delle ragioni alla base delle numerose successive revisioni, nonché per giustificare le manchevolezze di quest’opera rispetto a quelle della maturità, pare opportuna una breve annotazione in cui si ripercorrano le tappe della genesi e dell’evoluzione del romanzo e che renda esplicite le ragioni che hanno indotto l’Autore a modificarlo più volte nel corso degli anni.

Per sua stessa dichiarazione, Reuben si pone da sempre per l’Autore come una pietra fondante che ha il carattere dell’instabilità, che ha in sé numerose e gravi pecche strutturali, ma da cui non si può prescindere per salvaguardare l’armonia dell’intero corpus dei romanzi. Il testo di Reuben sembra reagire alla penna che continuamente lo tormenta come una roccia sedimentaria reagisce allo scalpello dello sculture, cedendo intere sezioni piuttosto che minimi frammenti e riconfigurandosi in una forma implicita nella natura propria e non corripondente alle intenzioni creative dell’artista. Probabilmente la ragione dell’accanirsi dell’Autore è un’insoddisfazione che egli tenta di esorcizzare in tappe successive tagliando spietatamente fino a ridurre il testo a circa metà, poi suddividendolo in capitoli, poi aumentando gli a capo, sempre in un’opera di espunzione ed autocensura di sezioni presumibilmente colpevoli di manchevolezze artistiche che continuamente si ripropongono: “Fra queste colpe – confesserà l’Autore - la più grave apparsa ai miei occhi è quella dell’ingenuità”.

Eppure, riprendendo in mano il manoscritto originale (che, incompleto, risale al 1980) per confrontarlo con l’ultima versione, ci si accorge che proprio la sua ingenuità ne faceva qualcosa di singolare. Il moralismo e la sincerità, insieme a invenzioni più o meno felici, rendevano la prima versione (Ur-Reuben) quasi più autentica di quest’ultima, più immediata nello svelare, proprio nelle sue incertezze strutturali, l’insicuro procedere del ragazzo smarrito. Anche il fatto che Ur-Reuben non fosse suddiviso in capitoli, ma procedesse tutto dritto per 209 pagine dattiloscritte (completamento artigianale di quella prima versione) rende maggiore giustizia al suo essere flusso di coscienza e contemporaneamente flusso di esperienza, nel senso che l’evolversi dello scrittore e dell’individuo si svolgevano su un piano di reciproca influenza dove il tempo della riflessione a posteriori era annullato dall’urgenza dell’espressione immediata, violenta del momento (non dimentichiamo che Roberto Leopardi inizia a scrivere Reuben a diciotto anni). I tre quaderni di manoscitti che costituiscono la base documentaria dell’Ur-Reuben sono caratterizzati tra l’altro proprio da una quasi totale assenza di correzioni. Il primo quaderno, addirittura, non porta quasi traccia di cancellature, quasi come se il tempo dello scrivere procedesse così di conserva con quello del pensare da non costringere neppure a una rilettura. Il carattere di sincerità di tale Ur-Reuben sta dunque, a mio vedere, proprio nel fatto di non costituire il frutto di una riflessione su eventi di un passato sia pure recente, ma la trascrizione di urgenze dell’immediato, anche nel riportare così come appaiono immediatamente alla mente immagini associative il cui significato poteva essere, e forse ancora è, del tutto oscuro. Dunque proprio la giovanile sincerità del primo Reuben è concausa, forse generativa, della “colpe di ingenuità” che lo attraversa. In tal senso, si può affermare che Reuben è un’opera che va letta solo una volta e solo in un momento ben preciso della vita, in quella fase terribile del processo di individuazione in cui ci troviamo scaraventati, senza speranza di ritorno, nel mondo agro degli adulti. Ogni rilettura adulta di Reuben rischia di portare all’evidenza immancabili ingenuità che, non trovavando più appoggio nell’immediatezza esperienziale che le aveva fatte scaturire, “mi sembrano – scrive l’autore - sempre più intollerabili e sempre più, se così posso dire, sbagliate”. E’ questa la ragione delle ingenerose sforbiciature, non meno che delle sforbiciature opportune per ragioni narrative ed estetiche.

Fra questi mutamenti intervenuti nel testo, la cosa di cui forse l’Autore si pentirebbe di più, misurando la distanza fra quel primo Reuben e questa quarta versione (con varie release fra una versione e l’altra) è forse l’avere optato per una suddivisione in capitoli (già dalla versione 3). Personalmente tornerei all’intuizione originaria dell’unico flusso, tanto più che, ridotto quasi ad un racconto lungo, il testo attuale non risentirebbe di eccessiva pesantezza. La scansione in capitoli è in effetti arbitraria. Ciascun capitolo non introduce fatti nuovi, né si muove su prospettive diverse, mantenendo quindi una forte autonomia come i capitoli di June, di Som de l’Escalina e più ancora di Thomas, ma non avendo la stessa funzione nell’economia del romanzo. Inoltre recupererei alcune immagini che non mi sembrano così infantili come le vede l’Autore, né insignificanti nell’economia del racconto, a partire già dalla visione di una strada asfaltata “che sembrava finire quasi in una nuvola” che compare alla pagina 2 del manoscritto. Ma queste sono decisioni che spettano all’Autore...

E’ quasi commovente l’affetto che lega l’Autore a Reuben, che definisce “l’equivalente di un figlio primogenito che mi assomiglia in tutto fuorché nell’età e di cui comprendo le pulsioni senza però provarle più”.

Resta da dire qualcosa (poiché ho parlato di Reuben 1 e di Reuben 4) delle due versioni di mezzo del libro. La versione 2 risale all’avvento del computer, ed è la trascrizione, ritengo piuttosto fedele, del testo originale in formato elettronico. Pur esistendo ancora i files su floppy, è difficile consultarli dato che gli elaboratori in grado di leggerne il formato sono scomparsi da un pezzo. L’edizione ufficiale di Reuben 2 è dell’8 ottobre 1985 e consta di 135 pagine: non è suddivisa in capitoli. La versione 3 è la prima versione ridotta. E’ in tale occasione che sono stati operati i tagli più netti, dando al romanzo la forma che ha attualmente. Le differenze fra la versione 3 e la versione 4 sono significative solo a livello di microinterventi, che non intaccano il tessuto narrativo.

Si può dunque individuare una specie di costante ondulatoria nel destino di Reuben, dove le versioni dispari hanno una funzione creativa, quelle pari una funzione di riordino.

Se Reuben si ripropone di nuovo, in veste solo un po’ diversa, è perché deve finalmente svolgere la funzione che ha da adulto: costituire il capitolo iniziale della trilogia di Reuben che, lasciata in sospeso alla fine degli anni ’80 con la pubblicazione di Som de l’Escalina, va oggi avviandosi a completamento con la pubblicazione sul web del work in progress del terzo volume che ha per titolo provvisorio Thomas il monaco.

In questo suo nuovo ruolo saprà forse, come suo costume, mostrare una ulteriore faccia del prisma che non ha cessato di essere.