Riportiamo un'intervista realizzata da Shalom Gargioni in occasione della pubblicazione di Reuben nel 2007.


D. Reuben inizia con un sogno. E’ un sogno vero?

R. E’ un sogno vero. Intendo dire che in quel caso il sogno, che ho veramente fatto, aveva una qualità di esistenza così superiore rispetto alla vita da presentarsi ai miei occhi come una sorta di rivelazione. La mia impresa di scrittore inizia esattamente da quel sogno, cioè da quando, svegliatomi, l’ho trascritto. Poi sono andato avanti.

D. Quanti anni avevi?

R. Diciotto.

D. Il sogno riportato nel libro è esattamente quello che hai sognato o lo hai modificato per ragioni letterarie?

R. E’ esattamente il sogno che ho fatto, o meglio è tutto ciò che sono riuscito a ricordare di quel sogno, e credo di averlo ricordato quasi tutto. Non ho tolto né aggiunto. Al momento non sapevo i significati nascosti del sogno. Avevo solo la chiara comprensione che quello “strano sogno” non doveva essere perduto.

D. Avresti fatto lo scrittore anche senza quel sogno?

R. Sì. Ma non avrei scritto Reuben.

D. Parliamo di Reuben. Ci tieni più al libro o al personaggio?

R. Tengo di più al personaggio. Sinceramente credo che il libro non sia un granché, per quanto, quando lo scrissi, mi sembrasse un’opera straordinariamente potente. Su questo, in verità, non ho cambiato idea. Reuben è ancora, secondo me, un’opera potente. La sua forza deriva dall’essere sincera, dal raccontare profondamente qualcosa di terribile che avviene in un ragazzo che diventa adulto. Viste da una certa distanza le pagine di Reuben risultano pesanti, monocordi, ossessive, ma lo sono esattamente come la vita sospesa di un ragazzo di diciotto anni dotato di chiara intelligenza e di scarsa volontà.

D. Eppure al personaggio Reuben la volontà non sembra mancare…

R. E’ per questo che amo il personaggio più del libro. Reuben ha il coraggio, che io raramente ho avuto, di prendere decisioni radicali, di fare dei tagli. Se fossi stato Reuben non avrei scritto il libro. Il sogno mi diceva di andare via, non di scrivere libri. Scrivere libri è il mio modo per andare via restando, fuggire senza muovermi.

D. Nel romanzo Reuben è il protagonista assoluto, eppure, in un certo senso, noi non lo conosciamo mai davvero. Ci viene presentato dall’anonimo narratore filtrato attraverso il ricordo che ha di lui e solo verso la fine Reuben parla, infatti un paio di discorsi sono messi fra virgolette. Dunque, il romanzo racconta di Reuben o dell’eredità che ha lasciato?

R. Credo che si tratti della stessa cosa. Reuben, essendo un personaggio letterario, è in sé niente più di ciò che il lettore trova in lui. Il narratore, ponendosi come ulteriore filtro fra lettore e personaggio, svela inconsciamente questo gioco. Reuben nasce nel momento stesso in cui non c’è più. La sua fuga è necessaria perché possano cominciare a vivere i suoi amici, la sua assenza è necessaria perché si possa scrivere la sua storia.

D. Che poi, la storia, in realtà non c’è…

R. Già. La storia non c’è. Da un punto di vista strettamente narratologico Reuben è un romanzo sbagliato dove non ci sono né trama né ordito, cioè né fabula né intreccio né climax o spannung o tutte le cose che ci si aspettano in un romanzo, magari anche senza sapere che esistono. Questo aumenta di molto il disagio del lettore.

D. In un colloquio con Allen Faulkner, dicevi che Reuben si deve leggere una volta sola.

R. Sì. Veramente io consiglio ad alcuni di non leggerlo proprio. Non perché tema ripercussioni sulla loro vita, anche se a persone giovani e depresse consiglio sinceramente di starne distanti, ma perché temo che il giudizio non potrà essere lusinghiero. Non so ancora se Reuben è semplicemente un libro riuscito male o un libro così nuovo da chiedere chiavi interpretative nuove. Non sono un critico letterario e non lo so. Rispetto al leggerlo una solo volta, dicevo che Reuben è un libro adatto solo ad una certa categoria di persone, e queste persone dovrebbero avere fra le mani Reuben nell’esatto momento in cui stanno succedendo loro alcune cose. Allora lo potrebbero addirittura rileggere. Anche più volte.

D. A quale categoria ti riferisci?

R. Ragazzi molto giovani, che pensano molto, che cercano risposte definitive senza trovarle e che non hanno nessuno con cui parlarne.

D. Credi che fra i ragazzi di oggi molti appartengano a questo gruppo?

R. No. Neanche fra i ragazzi di ieri.

D. Quindi Reuben è destinato a pochi…

R. Credo di sì.

D. Ormai sei un ragazzo grande, in viaggio verso i cinquanta. Fai l’insegnante e lavori tutti i giorni con i ragazzi. Che differenza c’è fra i ragazzi di oggi e quello che tu eri trenta anni fa?

R. Mi sono sentito molte volte porre una domanda più generica, cioè che differenza vedo fra i ragazzi di oggi e quelli di una volta. A questa domanda rispondo di solito che non ci vedo nessuna differenza. Che siano un po’ più disinibiti, un po’ più scaltri, un po’ meno rispettosi delle regole è la conseguenza di una deriva di tutta la nostra società, a iniziare dalla famiglia. I ragazzi, per natura, si adeguano. I loro comportamenti sono semplicemente adeguati al mondo che mettiamo loro davanti. Posso garantire che i miei studenti sono nei miei confronti altrettanto educati di quanto eravamo noi nei confronti degli insegnanti che stimavamo. Sulle differenze più specifiche fra me e loro non so cosa dire. Non saprei confrontare un individuo con una categoria.

D. Hai fatto leggere Reuben ai tuoi studenti?

R. Solo ad alcuni, quando circolava in fotocopia.

D. Perché Reuben è diventato protagonista di una trilogia?

R. Non lo so. Ripensando adesso al momento in cui mi sono messo a scrivere Som de l’escalina non ritrovo le ragioni per avere iniziato quel libro. Nel terzo volume Reuben va addirittura sullo sfondo e il protagonista diventa un altro.

D. Quindi i libri della trilogia si possono leggere distintamente uno dall’altro?

R. Credo di sì. Si può.

D. Talvolta emergono nel testo alcuni accenni di sperimentazione linguistica che vengono però rapidamente abbandonati. Come mai ci sono e perché non vengono sviluppati?

R. Non si tratta di vere e proprie sperimentazioni, ma piuttosto di imitazioni. Credo che tutte le brevi avventure fuori da modelli, diciamo così, classici siano dovute alle frequentazioni letterarie di quegli anni, soprattutto Joyce e Dos Passos. Ricordo di avere avuto la certezza di essere capace di scrivere quando rilessi il brano relativo all’intelaiatura della finestra da cui filtra l’acqua (pp.58-61 ndr). E’ un brano che in effetti non ha niente a che fare con la storia e nel corso dell’ultima revisione volevo sopprimerlo. Ma mi ricordavo cosa aveva significato per me e ho deciso di tenerlo.

D. Il romanzo subisce l’influenza anche di altri autori, non è così?

R. Sì. Quali hai trovato?

D. Eliot non è stato difficile, sapendo la tua venerazione per lui. Qoelet, esplicitamente citato in più punti. E poi?

R. C’è John Keats, il Joyce di I morti, gli America, Dylan, Woody Guthrie, La ballata del vecchio marinaio di Coleridge…Ma direi che, diversamente da Som de l’escalina, in Reuben c’è più vita che letteratura.

D. Mi pare che questi autori ritornino quasi tutti anche in Som

R. E’ vero, sebbene Som l’abbia scritto molto più tardi.

D. I riferimenti impliciti a libri e autori sono inconsci o voluti?

R. Quelli che posso citare sono voluti. Gli altri ovviamente inconsci.

D. Che influenza ha ciò che leggi, sul tuo scrivere?

R. Credo che abbia un’influenza decisiva, ma si tratta quasi sempre di spunti da cui parto per sviluppare altri temi. Qualcuno si sarà accorto che l’inizio di June riprende alla lettera alcune frasi del libro di Polillo, Jazz. L’idea di scrivere June mi è venuta proprio dalla lettura di Polillo.

D. Ma Polillo era un saggista, non un romanziere…

R. Era un saggista con straordinarie capacità narrative. La sua storia del jazz è letterariamente straordinaria.

D. Qual è il libro che ha influenzato più di ogni altro il tuo stile narrativo?

R. La Bibbia.

D. Qual è il libro che porteresti con te su un’isola deserta?

R. La Bibbia.

D. E potendo averne due?

R. Alla ricerca del tempo perduto. Ma su un’isola deserta mi augurerei di avere un’intera biblioteca.